STORIA E PRODUZIONE DEI DISTILLATI

 

Distillato deriva dal latino destillatio, che può essere scomposta in DE, che indica un movimento verso il basso, e STILLATIO, che significa far evaporare un liquido. I distillati possono essere definiti come delle miscele di acqua e alcol ottenuti dalla fermentazione di alcune materie prime, quali cereali, vino, vinacce, canna da zucchero, patate, bacche di ginepro e frutti vari.
Questi ingredienti sono fatti fermentare al fine di ricavare l’alcol, che è separato a caldo dall’acqua e dalle altre sostanze che costituivano il prodotto stesso.

ARMAGNAC

BRANDY

CACHAÇA

COGNAC

GIN

RUM

TEQUILA

VODKA

WHISKY

La loro origine

 

I distillati hanno avuto diffusione grazie alla Scuola Salernitana a partire dal Medioevo. Questi distillati partivano da 2 materie prime: vino e vinacce.
Gli arabi, tra il Cinquecento ed il Seicento, perfezionarono l’alambicco. I monaci usavano i distillati di oli essenziali e liquidi alcolici per curare malanni e pestilenze e si scoprì che tali distillati risultavano piacevoli.

Un ulteriore passo fu la produzione dei distillati a partire dal vino come il cognac e l’armagnac (Francia), il brandy (Italia, Spagna) o a partire dalle vinacce (la grappa in Italia). In seguito, si scoprì che l’invecchiamento in legno ne migliorava le qualità.

Nei paesi nordici, dove la viticoltura è difficoltosa, nacquero distillati come il calvados usando le mele, lo svilovitz dalle prugne e susine, whisky, gin, vodka a partire dai cereali e dalle patate.
Grazie alle esplorazioni, con la scoperta delle regioni del nuovo mondo, venne scoperta la canna da zucchero, con la quale venne prodotto il rum. Negli Stati Uniti si produce il bourbon, il corn ed il rye whisky utilizzando il granoturco e la segale.

Distillati di qualità

Per poter creare distillati di qualità, occorre che le materie prime siano di qualità e, altrettanto importante, è l’esperienza del distillatore, i diversi tipi di alambicco ed i metodi di distillazione.

Una fase importante nella produzione di un distillato di qualità è costituita dal ritocco finale, cioè l’aggiunta di zucchero (max 2%) che serve a dare morbidezza e ampliare la persistenza aromatica. L’aggiunta di caramello o di zucchero bruciato influisce sul colore, che diviene tra il paglierino e l’ambrato, fa apparire invecchiati anche i distillati giovani, ma può dare sensazioni nasali poco piacevoli. Spesso in questi dettagli si rivela la capacità del distillatore: nell’ultima pennellata.

Per distillati come il whisky, il cognac, l’armagnac, il calvados, dopo la parziale riduzione del grado alcolico, questi prodotti, per legge, devono essere posti in botti di legno (anche per molto tempo). Altri distillati, come le grappe, l’invecchiamento è una scelta dell’azienda produttrice. Con l’invecchiamento vengono sviluppate le note di vaniglia, spezie, tabacco, frutta secca, miele che sono profuse dall’azione del legno, che permette il contatto con l’ossigeno dell’aria, e dalla demolizione di alcune sostanze cedute dal legno che vengono trasformate in molecole profumate. Il tipo di legno, la provenienza, le condizioni ambientali incidono sull’invecchiamento e sui profumi che si svilupperanno durante questa fase.

Per alcuni distillati come il gin, la vodka e alcune grappe l’aromatizzazione è una fase fondamentale. Questa può avvenire in diversi modi: con l’infusione di piante officinali (o di parte di esse nell’acquavite stessa) o ad aromatizzazione dei vapori idroalcolici durante la distillazione, fatti passare attraverso filtri formati da erbe aromatiche.

 

I distillati

I primi a utilizzare la tecnica della distillazione sono stati i Cinesi nell’800 A.C. trasformando un prodotto fermentato dal riso (tipo Sake). In Europa la distillazione è stata introdotta tra il 1100 e il 1200. Le popolazioni, in quasi tutte le parti del mondo, già da millenni conoscevano i prodotti fermentati (i ” vinosi ” prodotti da sostanze dolci, zuccherine e le “birre” ottenute dai vari cereali).

Forse la storia dei prodotti fermentati è iniziata osservando un fenomeno naturale che si compiva su un prodotto già da millenni conosciuto, il miele.
Dimenticato in una ciotola e diluito, in continuazione, dalla rugiada mattutina, con il trascorrere dei giorni il miele potrebbe aver iniziato un processo di fermentazione trasformandosi in un liquido leggermente alcolico (in gergo “vino di miele” ).
È assai probabile che tra i primi a fornire una bevanda fermentata possano essere stati anche il dattero e il lattice di palma. In seguito, con lo sviluppo dell’agricoltura si otterrà frutta sempre più dolce e zuccherina, pertanto i tipi di “vino” diventeranno sempre più numerosi.

Per quanto riguarda i cereali, invece, da tempo immemorabile l’uomo produce “birra” sia dall’orzo che dal riso o miglio. Il “vino”, la “birra” e il latte sono i prodotti che, oltre a essere bevuti tali e quali, costituiscono anche una base per la distillazione.

Per diversi secoli i distillati furono realizzati con sistemi molto, senza particolari controlli, pertanto i prodotti che si ottenevano erano molto ordinari. Verso il 1500 furono eseguiti i primi esperimenti realizzando il processo di distillazione a circuito chiuso e apportando alcune modifiche all’ impianto per ottenere un flusso di vapori che potesse arrivare gradualmente alla condensazione. Nel corso degli anni successivi le conoscenze della chimica e della fisica permetteranno di migliorare e affinare sempre più i distillati.

Alla fine del 1500 si realizzano i primi esperimenti, in Europa, sottoponendo il risultato della prima distillazione a una seconda distillazione e ci si accorge che il prodotto è decisamente più morbido e delicato.
Nel 1832 viene studiato e realizzato un procedimento di distillazione continua (Coffey Still ) in alternativa al classico procedimento discontinuo ( Pot Still ) della doppia distillazione con due alambicchi.
L’avvento di attrezzature quali lo spettrofotometro e il gascromatografo permetteranno di conoscere sempre più in dettaglio le varie componenti dei distillati e costituiranno un preciso strumento di controllo per i produttori al fine di migliorare continuamente gli standard organolettici dei loro elaborati.

 

I liquori

La storia dei liquori è decisamente più giovane.
Si hanno documenti che trattano l’argomento di “acqua vitae” aromatizzata con erbe e spezie che risalgono al 1300. Dal 14° secolo diventano popolari in Italia e tramite Caterina De Medici si diffondono anche in Francia. La funzione medicinale che caratterizzava all’inizio il consumo si sposta sempre più verso il piacere della degustazione.

I primi distillati aromatizzati con essenze di erbe dal gusto decisamente amaro, infatti, sono diventati, con aggiunta di miele e, in seguito, di zucchero, veri e propri liquori come si intendono oggi.
Un grande impulso viene dato dai conventi che dal 13° al 17° secolo creano ricette che hanno superato la soglia del terzo millennio.
Il monaco benedettino Don Bernardino Vincelli (Benedictine) nel 1510, l’ Elixir di lunga vita (Chartreuse) 1605, l’Abate di Montbenoit (Cusenier) 1637, sono alcuni esempi della diffusione di marche ancora oggi molto conosciute. Dalla metà del sedicesimo secolo molte distillerie private iniziano la produzione di liquori; tra le più vecchie l’olandese Bols, fondata nel 1575, e la tedesca Der Lachs produttrice del Danzig Goldwasser.

Le materie prime

Distillati

Tutte le sostanze che contengono alcool o che possono produrlo attraverso un processo di fermentazione (amidi o zuccheri) sono materie prime per la distillazione.
Queste si dividono in:

  • Alcoliche: vino, vinello, vinaccia. Queste materie prime possono essere direttamente distillate in quanto contengono già alcool etilico ottenuto da una precedente fermentazione.
  • Alcoligene le cui materie prime devono essere sottoposte alla fermentazione e, successivamente, distillate. Sono suddivise nei seguenti sottogruppi:
    • amidacee: cereali (avena, frumento, mais, miglio, orzo, riso, segale sorgo, panico) e tuberi (batata, patata, manioca, topinambur).
    • glucosine: tutta la frutta in genere e alcune radici quali genziana ecicoria.
    • saccarine: acero zuccherino, agave, canna da zucchero, palma zuccherina.
    • lattosich: latte o siero (generalmente di asina e cavalla)

 

Liquori

Materie prime per la produzione dei liquori sono:

  • base alcolica
  • zucchero
  • acqua
  • aromatizzanti vegetali (radici, foglie, rizomi, gemme, frutti, semi, cortecce di fusti, cortecce di frutti, cortecce delle radici, fiori, infiorescenze)
  • crema di latte, uova.
La lavorazione dei distillati

Distillati

  • Acquavite da frutta: il succo zuccherino ottenuto macinando la stessa frutta, in alcuni casi con il nocciolo, viene fatto fermentare per trasformarlo in alcool. Quindi viene distillato.
  • Acquavite da cereali: i cereali contengono amidi e questi devono essere trasformati in zucchero prima di essere fermentati. Alcuni compiono questa trasformazione con facilità (il chicco d’orzo appena è bagnato innesca una reazione spontanea, con un enzima, che trasforma l’amido in “maltosio”) altri (quali il mais o il grano) necessitano di essere frantumati e sottoposti a cottura in acqua perché avvenga questa trasformazione.

 

La fermentazione

La fermentazione è la reazione chimica prodotta dai lieviti che trasforma gli zuccheri in alcool e anidride carbonica.
I lieviti, microrganismi unicellulari, presenti in natura “vivono” e si riproducono per gemmazione nutrendosi di zucchero.
Il fenomeno della fermentazione, studiato dall’uomo nel corso dei secoli, è stato affinato con la creazione di vere e proprie “colture” di lieviti selezionati famiglie – cioè – di microrganismi che lavorano nella direzione desiderata fornendo, oltre alla base alcolica, anche un gruppo di prodotti che forniscono gli aromi (anch’essi trasportati in corrente di vapore alcolica).

Osservando un tino dove avviene la fermentazione (mosto di vino o mosto di cereali) si potrà notare una schiuma che ribolle in superficie; quella è l’azione dei lieviti. Se il mosto deve andare alla distillazione questa operazione avverrà in vasche aperte; se, invece, si dovrà ottenere birra o
spumante (operando una rifermentazione sul vino), allora l’operazione avverrà in recipienti chiusi.

Ogni azienda ha selezionato particolari famiglie di lieviti per la fermentazione. Esistono anche vere e proprie “banche dei lieviti” per conservare ceppi selezionati di aziende.

 

La distillazione

La distillazione è l’operazione che permette di separare da un mosto fermentato (dove i vari componenti sono perfettamente miscibili tra di loro) la parte alcolica sfruttando il punto di ebollizione specifico dei vari ingredienti. Il processo di distillazione può essere continuo o discontinuo.

La distillazione in continuo viene realizzata con impianti (colonne) che permettono un’alimentazione continua della materia prima fermentata e conseguente separazione delle varie frazioni di distillato.

La distillazione discontinua si realizza con gli alambicchi tradizionali.
Generalmente il mosto viene portato alla distillazione con una gradazione dai 4 ai 9 gradi alcolici. Con la distillazione discontinua esce a 27 – 30 gradi dalla 1° e dalla successiva 2° distillazione tra i 70 e gli 85 gradi.

Nel mosto si trovano vari tipi di alcol, esteri e altre sostanze volatili; la tecnica della distillazione, pertanto, deve tener conto che nella prima fase (testa) e nella fase finale (coda) della fascia di temperatura alla quale bolle l’alcool etilico, vi sono anche altre sostanze più o meno volatili che vengono trascinate dalla corrente di vapori.
L’affidabilità dell’operazione, pertanto, consiste – oltre che a utilizzare particolari impianti – anche nell’esperienza del mastro distillatore, oggi coadiuvato da strumenti di analisi molto sensibili.

 

Invecchiamento

Alcuni distillati vengono imbottigliati appena prodotti (sono i ” white spirits”, vodka, gin – esclusi gli olandesi – tequila, rum, cachaca; gli altri: cognac, brandy, whisky vengono invecchiati in botti di legno (generalmente quercia). L’invecchiamento in botte permette al distillato di estrarre alcune sostanze del legno che, con il trascorrere degli anni, lo rendono più morbido e delicato. Tra tutti i distillati il cognac, generalmente, è quello che resiste meglio all’invecchiamento.

 

Assemblaggio

Quasi sempre un distillato invecchiato è costituito da una miscela di distillati di annate differenti. Questa tecnica che trova riscontro in molti altri settori del food & beverage (ad es. miscele di caffè) permette al produttore di creare ogni anno un prodotto con lo stesso gusto e la stessa identità. Si useranno pertanto vari tipi di annate e un blended potrà essere il risultato della miscela di 20 e più distillati di epoche diverse. In questo caso la legge impone di indicare sull’etichetta l’anno corrispondente al più giovane distillato utilizzato. Questa regola vale per i Cognac, i Whiskies, ecc.

La lavorazione dei liquori

I liquori si ottengono per miscelazione dei vari ingredienti. In teoria la loro produzione sembra più facile rispetto a un distillato; in pratica, però, per ottenere un liquore che esprima veramente i profumi e il gusto degli ingredienti aromatizzanti, occorre conoscere molto bene l’arte dell’estrazione delle materie prime soprattutto nel mondo dell’erboristeria.

Ancora oggi, infatti, nonostante che l’industria abbia messo a disposizione delle aziende gli estratti, molti liquorifici ricavano le essenze dalle materie prime vegetali con differenti metodi. I più diffusi sono: distillazione, percolazione, macerazione.

 

Distillazione

E’ il metodo più delicato che permette di estrarre dalla materia prima scelta la parte più volatile. I prodotti dai quali si vuole estrarre l’aroma vengono messi nella caldaia di un alambicco in una soluzione acqua/alcool, lasciati qualche giorno a una temperatura max di 50°, poi si procede alla distillazione. Alla temperatura di distillazione dell’alcool etilico passeranno anche le componenti volatili della materia prima disciolte nella soluzione idroalcolica. Si utilizzerà solo la parte distillata.

 

Percolazione

In un apparecchio, tipo una grossa caffettiera napoletana, vengono introdotte: la soluzione idroalcolica e le erbe dalle quali si vogliono estrarre le essenze, queste però vengono appese al centro della caldaia. I vapori idroalcolici attraversano, in continuazione, il pannello di erbe arricchendosi gradualmente dei componenti solubili. Dopo due tre giorni di lavorazione a una temperatura attorno ai 50-60 gradi, si raccoglie tutto il liquido che conterrà, in questo caso, tutte le essenze solubili e parte di tannino e colorante delle erbe.

 

Macerazione

La macerazione è l’operazione che si utilizza quando si vuole estrarre la maggior quantità di essenza da erbe o radici. La soluzione idroalcolica in questo caso lavora a contatto del tessuto vegetale per due settimane e la temperatura (anche in questo caso attorno ai 45/50 gradi) facilita l’estrazione.

La degustazione

Il gusto

Riconosciamo i sapori grazie all’attività di alcune cellule specifiche che si trovano sulla nostra lingua. Queste cellule, raccolte in gruppi, formano delle gemme che sono situate su minuscole papille. Queste papille sono di forma diversa e concorrono ciascuna a riconoscere uno dei gusti fondamentali.
Le papille, in base alla loro struttura, vengono definite: fungiformi (a forma di fungo), foliate (a forma di foglia) e filiformi.
Il numero di questi agglomerati (papille) diminuisce con l’avanzare dell’età; questo spiega perchè i giovanissimi sono molto più sensibili ai gusti intensi e perché, con gli anni, si tende a privilegiare maggiormente il cibo più saporito.

I gusti fondamentali, riconosciuti dalle papille, sono 4: dolce, salato,acido e amaro; alcuni studiosi catalogano altri due gusti: il sapore alcalino (di soda o sapone) e il sapore metallico (tipico di quando la lingua si trova a contatto con rame o ferro).
Consideriamo però solo i 4 gusti, riconosciuti da tutti i professionisti nelle degustazioni ufficiali, e localizziamoli:
– dolce (sulla punta della lingua)
– acido (sui lati della lingua – in forma speculare)
– salato (sui lati della lingua , più indietro – in forma speculare)
– amaro (in fondo alla lingua)

Esiste, inoltre, un’isola centrale formata da papille filiformi che individua: la temperatura, l’alcolicità, la densità, la presenza di anidride carbonica e la sensazione astringente (dovuta ai tannini), soprattutto delle bevande.
Ovviamente sulla lingua non è tutto così schematizzato, le zone che abbiamo indicato sono le più sensibili a questi sapori, ma tutta la lingua è in grado, attraverso un collegamento tra cellule e fibre nervose, di riconoscere questi gusti.

 

L’olfatto

Oltre le sensazioni della lingua dobbiamo ricorrere anche all’olfatto per eseguire una degustazione completa di un cibo o di una bevanda. Per comprendere quanto sia importante l’olfatto sulla degustazione basta pensare a quando siamo raffreddati: non riusciamo più a riconoscere alcun sapore.
Quindi la gamma completa delle sensazioni ci viene fornita dalla interazione del gusto con l’olfatto.

Contrariamente alla lingua che riconosce pochi sapori, l’olfatto è in grado di codificarne alcune migliaia. L’essere umano possiede tra i 5 e 10 milioni di cellule olfattorie.
Queste cellule sono collegate con il cervello e inviano segnali in diverse aree (all’ ippocampo dove si originano le emozioni e all’ipotalamo che regola il comportamento nutritivo); questo spiega perché abbiamo una differente reazione in base agli odori. Il concetto di buon odore o cattivo odore non è così assoluto; se qualcuno associa a un particolare odore una brutta esperienza vissuta, per lui quell’odore (anche se si tratta di un’ottima essenza) rimarrà per sempre un pessimo odore. Se poi ciò che annusiamo ha una temperatura tiepida o calda avvertiamo ancora meglio gli odori poiché le molecole trasportate in corrente di vapore raggiungono più intensamente le cellule olfattive.

 

Degustazione dei distillati

Per degustare correttamente uno o più distillati occorre:

  • un ambiente tranquillo e poco rumoroso
  • scegliere il bicchiere giusto (un tulipano)
  • utilizzare acqua con basso contenuto di sali (se si utilizza un’acqua minerale sarà importante controllarne la durezza)
  • stabilire la scaletta di degustazione partendo dal distillato più delicato

Ricordiamo che per fare l’assemblaggio delle varie acquaviti per produrre scotch piuttosto che cognac vi sono dei “superesperti” nelle distillerie (i maestri assaggiatori) che valutano diverse centinaia di miscele al giorno.
Questi professionisti svolgono il loro lavoro attraverso la sola degustazione olfattiva. Eppure la loro è una funzione importantissima all’interno della distilleria, stabiliscono ogni volta qual è l’esatta proporzione di acquaviti da miscelare per ottenere sempre lo stesso gusto per i propri consumatori.

Per porci nella condizione ideale per conoscere meglio i distillati è necessario:

  1. una volta versato il distillato avviciniamo il bicchiere al naso e cerchiamo di avere “una prima impressione” del prodotto; faremo attenzione a non inspirare troppo a lungo per evitare di anestetizzare le nostre papille olfattive
  2. tappiamo, quindi, con il palmo della mano la bocca del bicchiere, mentre con l’altra mano lo “umanizziamo” (cioè inseriamo lo stelo tra il medio e l’anulare avvolgendo in bicchiere con le dita) e lo facciamo roteare dolcemente; questa operazione, annusando sempre con cautela, ci permetterà di percepire i profumi più delicati, gli aromi più volatili del distillato;
  3. aggiungiamo poi un po’ di acqua al distillato (questo serve a liberare altri aromi che saliranno verso la bocca del bicchiere) e continuiamo la degustazione olfattiva, diluiamo sino a un rapporto 1:1 acqua/ distillato e definiamo le sensazioni ofattive;
  4. ora sorseggiamo un po’ di distillato e lo facciamo scorrere sulla lingua per cogliere le varie sfumature dei sapori fondamentali; preventivamente diluito al 50% il distillato non darà uno choc alle papille gustative; deglutendo un piccolo sorso faremo attenzione a tutte le caratteristiche sfumature e alla persistenza degli aromi che rimane in bocca.

Con un po’ di allenamento e annotando le proprie sensazioni si può iniziare un approccio più significativo verso i distillati. Questo non significa assolutamente consumarne di più… anzi abbiamo visto che addirittura potremmo fare la sola degustazione olfattiva.
Per ogni distillato esistono delle indicazioni specifiche (ad es. il retrogusto di torba sarà una specifica per i whisky di malto, mentre una punta zuccherina più o meno forte sarà riconducibile a un rum).
In linea di massima, però, esistono dei profumi comuni ad ogni distillato.

Vi sono aromi che dipendono dalla produzione, aromi acquisiti durante l’invecchiamento dal legno e soprattutto da ciò che le botti hanno custodito prima (vino, bourbon o altro).

Aromi della produzione:

  • aldeidi – sapore di foglie, erba, fiori
  • esteri – frutta, solventi, fragranze
  • fenoli – medicinale, torba, iodio
  • alcoli di coda – cuoio, tabacco, cera

Aromi della maturazione:

  • legno – resinoso, pino, affumicato
  • vinosi – rum, brandy, frutta cotta
  • dolci – crema, zucchero, caramello
  • grassi – mallo di noce, burro, grasso

 

Degustazione dei liquori

Anche per i liquori si può impostare una degustazione.
Generalmente è una operazione che viene svolta in ambito professionale , da chi deve realizzare molti cocktail e vuole utilizzare il miglior liquore o la migliore “crema liquore”.

Un liquore, impiegato soprattutto per la miscelazione, deve rispondere ai seguenti requisiti primari:

  • note aromatiche specifiche: i liquori più utilizzati per i cocktail sono identificati dalle caratteristiche aromatiche dell ‘ingrediente principale (quasi sempre un frutto: mandarino, albicocca, pesca, cacao, cioccolata). Sarà importante, per il barman, stabilire come primo elemento questa corrispondenza. Un liquore all’albicocca che non ha le caratteristiche dello stesso frutto può creare problemi all’operatore.
  • profumo intenso: le note aromatiche di un liquore sono molto importanti nel cocktail, infatti la ricetta assume una sua connotazione, quasi sempre, per merito degli aromi forniti dal liquore.
  • quantità di zucchero: non tutti i liquori hanno una elevata quantità di zuccheri, alcuni, addirittura, sono quasi secchi. Sarà buona cura di chi vuole affrontare il lavoro del barman di conoscere in dettaglio tutte le caratteristiche dei prodotti che impiega.
  • equilibrio tra i componenti: importante anche la struttura di un liquore dolce. Una formulazione collaudata trasmette meglio le proprie caratteristiche organolettiche, mantenendo il più a lungo possibile, anche in diluizione, la compattezza dei suoi aromi.
  • colore brillante: se il liquore deve assolvere anche alla funzione di colorante nel cocktail, sarà opportuno verificarne la brillantezza.
  • persistenza in diluizione: la persistenza degli aromi è un’altra garanzia dei liquori dolci per le preparazioni del bere miscelato.

Volendo stabilire una scala di questi valori si procede, come per i distillati, a una prima valutazione degli aromi per via olfattiva sul prodotto tal quale, poi si stabilisce, con un piccolo sorso, quale espressione alcolica riserva al palato, la dolcezza e la fluidità. Si aggiunge, quindi, acqua a vari livelli iniziando con una diluizione 1.1 (cl. 5 di liquore + cl. 5 di acqua) e si determina una personale valutazione dei differenti valori.
Si prosegue aggiungendo cl.5 di acqua ogni volta e verificando tutti i punti sopra descritti; si continua sino a quando si sono persi tutti i sentori.

Questo tipo di analisi fornisce valori interessanti se viene fatta comparativa tra due o più liquori dello stesso tipo e di case diverse.

Fonte: Barman Italia, Tipsy Bartender e Mixologyst Magazine of Bar Culture

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